La risposta italiana al Covid-19
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In Europa, l’Italia è stato il primo paese ad essere un epicentro del coronavirus. Di conseguenza, i makers italiani mobilitati hanno mostrato la strada per i makers di tutto il mondo. Enrico Bassi della Opendot fablab di Milano, specializzata nella open health, racconta la storia.
L’italia è stata uno dei centri più colpiti dall’epidemia. Per mesi i numeri crescevano senza sosta, soprattutto al Nord, in Lombardia e Veneto in particolare. Quelli che erano considerati i sistemi sanitari più efficienti del paese, si sono trovati in ginocchio.
Rapidamente si svuotano i magazzini degli ospedali, cominciano a scarseggiare i DPI, ma anche parti essenziali al funzionamento di ventilatori, CPAP, etc.
Una situazione critica si è registrata all’Ospedale di Chiari, dove le valvole venturi usate per miscelare ossigeno e aria, erano ormai finite e l’azienda produttrice non riusciva a fornirle in tempo.
Cristian Fracassi e il suo team dell’azienda Isinnova hanno portato una piccola stampante in ospedale, ridisegnato il pezzo, stampato e testato a tempo di record. Le stampanti FFF a basso costo, non riuscivano a garantire nè la precisione, nè la sterilizzabilità dei pezzi, e dopo i primi test sono state sostituite dalla sinterizzazione di polveri.
Questo primo caso univa cuore, cervello tecnologia e una buona dosa di coraggio (in questi termini, non era mai stato fatto un esperimento simile) e la notizia ha fatto il giro del mondo!
Complimenti a Cristian Fracassi, @temporelli73 e tutte le persone che lo hanno aiutato nella impresa di stampare in 3d le valvole mancanti per i respiratori dell'Ospedale di Chiari a Brescia.
(qui l'articolo completo https://t.co/QYZu6x9X1T) #SolidarietaDigitale #iorestoacasa pic.twitter.com/dF3G2RJY8S— Paola Pisano (@PaolaPisano77) March 15, 2020
Vista la delicatezza del progetto, i files non sono mai stati rilasciati e lo stesso Fracassi sconsiglia di produrre soluzioni simili con tecnologie non professionali. Sottolinea anzi che è stato fatto per far fronte ad un’emergenza e che il prodotto industriale è sempre la soluzione da adottare, se disponibile.
Proprio grazie alla risonanza che il progetto ha avuto, il team è stato contattato dal Dott. Renato Favero, ex primario dell’ospedale di Gardone Valtrompia, per condividere un’idea che avrebbe potuto aiutare a contrastare la temporanea mancanza di caschi per la C-PAP: modificare maschere da snorkeling usando adattatori stampabili in 3D, rilasciati in open source e documentati sul sito di Isinnova?
Charlotte valve, 22/03/20 (Cristian Fracassi):
Vista la semplicità e l’efficacia del progetto l’idea si diffonde rapidamente, alcuni makers iniziano a contattare gli ospedali più vicini o dove lavora qualcuno che conoscono, rendendosi disponibili. In altri casi sono gli ospedali stessi che richiedono un aiuto. Le richieste scalano rapidamente di dimensione e inizia ad essere evidente la necessità di collaborare per riuscire a rispondere in tempo. La prima arriva proprio da Brescia: servono 500 adattatori e Isinnova, insieme al fablab di Brescia, lancia la richiesta con un post su Facebook. Il post è del 22 marzo, ad oggi conta 640 commenti e 3441 condivisioni. Nell’arco di 24 ore si raggiungerà e supererà il numero di pezzi necessari!
Rimane il problema di come verificare la qualità dei pezzi, evitare sovrapproduzioni e gestire le spedizioni in pieno lockdown, ma questo primo caso mette in luce sia la volontà del mondo maker di aiutare, che la complessità di coordinare un gruppo distribuito di persone.
Nonostante qualche difficoltà, il primo esperimento di produzione distribuita funziona alla grande ed iniziano a circolare progetti anche internazionali di soluzioni per migliorare la sicurezza degli operatori sanitari e di chi è costretto a continuare a lavorare nonostante tutto.
Azioni coordinate
Per produrre e distribuire a questi progetti (quasi tutti fatti su base volontaria) iniziano a nascere gruppi locali di coordinamento: si tratta quasi sempre di community esistenti, gruppi di persone che già si conoscono o network di lab abituati a collaborare.
Le prime reti che si formano sono regionali e riescono a rispondere localmente alle necessità che emergono. Sono di varie tipologie, benché condividano sostanzialmente lo stesso obiettivo.
Makers Sicilia ad esempio, è la rete che connette i makers siciliani. Nasce per coordinare la risposta all’emergenza COVID-19 in Sicilia e riunisce FabLab, imprese innovative, incubatori d’impresa e singoli maker. Dalla sua fondazione, a fine marzo, il gruppo si riunisce virtualmente in modo regolare per condividere informazioni, le esperienze in corso negli ospedali locali, i feedback sui progetti già testati localmente, le informazioni sulle certificazioni e i requisiti regolatori necessari. I membri della rete condividono tutte le informazioni sui progetti realizzati localmente e hanno anche collaborato per l’acquisto di materiali.
Makers Sicilia live call, 10/05/2020 :
Altra rete attiva nel sud italia è Officine Mediterranee. In questo caso opera trasversalmente in diverse regioni, ma sostanzialmente con lo stesso obiettivo e struttura: è infatti una rete di makers, fablab, associazioni e piccole imprese legate al mondo della fabbricazione digitale distribuita tra Basilicata Puglia e Campania.
Alessandro Bolettieri, responsabile comunicazione di Officine Mediterranee racconta:
“Il gruppo ha iniziato rispondendo alla richiesta di 500 face shields da parte del 118 Basilicata. In circa 40 giorni è arrivato a produrre e distribuire oltre 2000 scudi facciali, più di 50 valvole Charlotte, supporti per mascherine (mask strap) e 20 aereosol box avvalendosi anche della collaborazione con l’Open Design School di Matera.
La rete conta circa 50 persone, tra makers e altri professionisti che hanno lavorato al coordinamento e alla comunicazione.
Il lavoro del gruppo è raccontato tramite una serie di interventi dei suoi membri raccolti in un
“DailyDiary” che si può vedere online.
Maker@Scuola
Risalendo è interessante il caso dei progetti fatti da Indire (L’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa). Questo storico istituto con più di 90 anni di attività nel mondo della scuola e dell’educazione, ha iniziato da qualche anno a studiare la relazione tra scuola e making, in particolare con il progetto Maker@Scuola.
Dopo aver sviluppato insieme ai medici un modello di visiera protettiva adatta alle loro necessità, il progetto ha preso subito due strade diverse, poco battute soprattutto all’inizio della situazione d’emergenza: da un lato si è strutturata una collaborazione con una grande azienda per la produzione industriale su larga scala e dall’altra il progetto diventerà tema del percorso di impresa simulata per le scuole superiori e gli ITS.
Progetto di ricerca Indire 𝗠𝗮𝗸𝗲𝗿@𝗦𝗰𝘂𝗼𝗹𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗹’𝗜𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮: da oggi il protipo di stampa 3D e le istruzioni per assemblare visiere protettive per medici e infermieri sono disponibili online per tutti! https://t.co/wUz0cwuzsd #Indire3DPrintSquad #COVID19 pic.twitter.com/CqXD6FldZH
— INDIRE (@IndireSocial) April 8, 2020
Un ultimo caso è quello Veneto: nel 2015, a seguito di un bando della regione, sono stati finanziati 18 Fablab creando il nucleo di partenza della rete regionale. A distanza di cinque anni alcuni lab non sono più presenti, altri nuovi si sono aggregati. La regione ha raccolto sul sito dell’Innovation Lab, le attività principali e i possibili contributi che questi Fablab potevano mettere in campo, oltre che il contributo di maker, appassionati e aziende, tutti accomunati dalla stessa voglia di aiutare.
Coordinamento a livello nazionale
Il lavoro fatto a livello regionale e locale ha fatto da apripista ad un coordinamento nazionale. A distanza di pochi giorni una dall’altra, nascono tre iniziative diverse con obiettivi simili e complementari.
Da una collaborazione tra Maker Faire Rome – The European Edition e I-RIM, l’istituto italiano di robotica e macchine intelligenti, nasce Tech For Care. La piattaforma non è solo un luogo di condivisione di progetti, ma è soprattutto pensata per raccogliere da un lato le necessità del personale in prima linea, dall’altro le proposte di soluzioni che nascono dalla Maker community, dalle start-up e dagli istituti di ricerca legate ai due iniziatori del progetto.
Opendot, il Fablab che cordino, lavora da anni nel mondo della cura e della salute e per questo siamo stati coinvolti fin dall’inizio nella realizzazione del progetto.
Techforcare è stato anche presentato durante la Virtually Maker Faire di poche settimane fa. La presentazione integrale è ancora disponibile qui:
Alcuni dei progetti pubblicati vengono proprio dai partner. IRIM, ad esempio, ha sviluppato LHF, un robot per la telepresenza facilmente realizzabile utilizzando parti acquistabili on-line o producibili in stampa 3D. Il progetto è interamente open source ed è pubblicato online.
Altro progetto di coordinamento a livello nazionale è Air Factories. “Air Factories è una “fabbrica distribuita” […] per la realizzazione di componenti e prototipi utili a fronteggiare l’emergenza.” Il progetto nasce a Messina, grazie al lavoro del Dipartimento di Ingegneria, Innesta, SmartME.io e Neural, ma ha raccolto richeiste e volontari su tutto il territorio, offrendo la possibilità a tutti di richiedere la donazione di soluzioni oppure offrirsi come volontario.
Una risposta invece “dal basso” è quella di Make in Italy, l’associazione nata nel 2014 per favorire iniziative di ricerca e coordinamento legate alla cultura della digital fabrication e del making. Nonostante negli ultimi anni fosse rimasta poco attiva, l’emergenza che stavamo affrontando ha motivato il direttivo a riprendere in mano le redini dell’associazione e concentrare lo sforzo sul coordinamento della domanda e dell’offerta: in pochi giorni sono stati raccolti quasi 500 contatti tra Maker piccoli laboratori startup e Fablab. Sul sito dell’associazione è possibile vedere una lista dei progetti prodotti e donati, che ad oggi supera i 25000 pezzi.
Sia Tech for Care che Make in Italy, hanno in comune una selezione di progetti open source, documentati su Careables.org, piattaforma sviluppata all’interno del progetto Europeo H2020 “Made 4 You” di cui OpenDot é partner. L’obiettivo è proprio quello di trovare, raccogliere e condividere soluzione open source e facilmente riproducibili, per la cura e la salute. Avere una base di progetti condivisi ha consentito una collaborazione molto più facile tra le due piattaforme. Tutti i progetti sono disponibili sul repository.
Makers d’impresa
La risposta del movimento maker in Italia, non si è limitata alla meravigliosa collaborazione volontaria di centinaia di makers e Fablab. In Italia ci sono molte aziende che sono strettamente legate al movimento makers e che, in alcuni casi, hanno addirittura aiutato a farlo nascere.
Prima su tutte, naturalmente, Arduino. Non solo il primo Fablab in Italia è arrivato grazie a loro (io iniziai nel 2011 proprio come coordinatore di quel primo laboratorio a Torino), ma fin dalla sua creazione Arduino è stato il cuore tecnologico di moltissimi progetti autocostruiti. Le soluzioni nate in questo periodo non fanno eccezione, così Alessandro Ranellucci (Open Source and community) e David Cuartielles (Arduino co-founder), cofondatore di Arduino, hanno organizzato una giornata di dibattito e presentazione delle idee su cui le persone stavano lavorando in risposta al COVID-19. I video dell’evento sono ancora disponibili sulla pagina di Arduino.
Filo Alfa è uno dei grandi produttori di filamenti per stampanti Italiano. Grazie ad una loro iniziativa chiamata “La Bobina sospesa” hanno raccolto e donato materiale per la stampa a sostegno di tutte e tre le iniziative di piattaforme nazionali riportate prima.

La stampa 3D l’ha fatta da padrona per la sua flessibilità e diffusione capillare sul territorio, che ha consentito a molti di contribuire attivamente. In questo periodo, una delle più grandi aziende di stampanti 3D a filamento, WASP, non si è tirata certo indietro. Insieme ad Alessandro Zomparelli, nome noto della modellazione parametrica in Blender, hanno sviluppato un plug-in per modellare e stampare maschere su misura a cui aggiungere poi il materiale filtrante.
Plug-in, tutorial e documentazione sono disponibili sul sito di Wasp.

Che cosa impariamo?
Sono stati mesi di concitazione e paura, voglia di contribuire e frustrazione per quello che si poteva fare, entusiasmo per la risposta di cuore da parte di molti e tristezza per quello che continuava a succedere.
Si è parlato dei makers come piano C, come soluzione temporanea fintanto che l’industria si riorganizza e sembra che molte delle strategie di finanziamento Europeo alla ricerca stiano andando in quella direzione.
Mi piace però pensare che quello che è successo in questi mesi sia una chiave di volta, un beta test di quale potrebbe essere il ruolo di community di innovatori attrezzati di tecnologie.
Molti sostengono che questa crisi abbia accelerato la trasformazione digitale più di qualunque politica sviluppata negli ultimi anni. Io credo che abbia anche dimostrato il valore di chi l’innovazione la fa insieme a chi ne ha di bisogno.
Quando iniziammo a parlare di come la fabbricazione digitale potesse essere d’aiuto alla salute, cinque anni fa, sembrava essere qualcosa di marginale. Quando tre anni fa abbiamo iniziato a lavorare con medici e ospedali, sembrava essere infattibile.
Gli ultimi casi che voglio raccontare sono proprio quelli che più potrebbero perdurare quando (speriamo presto), ci saremo lasciati alle spalle questa situazione irreale in cui stiamo vivendo.
Proprio a causa dell’emergenza, alcuni studi, fablab, piccole aziende e startup, sono state avvicinate da vari ospedali per sviluppare insieme nuove soluzioni.
Il Fablab Napoli ha iniziato la collaborazione con l’Ospedale del Buon Consiglio Fatebenefratelli per realizzare alcuni intubation box. Come spesso succede, i modelli disponibili online non rispondevano esattamente alle necessità dell’ospedale e alcuni medici tra cui il direttore di Medicina Generale dott. Fontanella, hanno iniziato a coprogettare le varianti necessarie. Viste le potenzialità il progetto è scalato e ha coinvolto altre realtà, tra cui il centro di ricerca a Portici di.ENEA. Risultato ancora più interessante è che gli ospedali che l’hanno adottato stanno continuando ad utilizzarlo ed è diventato uno strumento abituale per le procedure di intubazione.

A Roma lo Studio 5T ha iniziato a collaborare con gli ospedali fin dall’inizio della crisi, in particolare con lo Spallanzani, il Pertini e il Policlinico Umberto I. In un primo incontro si sono offerti di produrre alcuni face shield, ma i modelli esistenti non andavano bene per le richieste dei medici. Come a Napoli, anche in questo caso i medici hanno capito le potenzialità della fabbricazione digitale toccando con mano la rapidità e flessibilità del processo. Proprio grazie all’affiancamento e alla collaborazione, il loro ruolo si è trasformato da quello di utilizzatori ad ideatori di soluzioni non ancora disponibili.
Questi mesi di collaborazione hanno portato a vari progetti, molti ancora in fase di sviluppo. Alcuni sono visibili sulla pagine dello studio.

Qui a Milano, continuiamo la collaborazione con gli ospedali del territorio (ad oggi, quattro in particolare) e con medici e terapisti che ci lavorano. Abbiamo iniziato a coprogettare con loro già da qualche tempo e i risultati si vedono: una volta capite le potenzialità le persone diventano più proattive, propositive e indipendenti.
Uno di questi medici-innovatori, un rianimatore, ha stampato più di 200 salvaorecchie per i suoi colleghi, testato valvole venturi per verificarne la sicurezza e stampato diversi modelli di mascherine per valutarne efficacia e comodità.
Ha cominciato anni fa, frequentando la formazione base e siamo arrivati a sviluppare un device insieme.
Noi vorremmo che queste collaborazioni fossero la regola, non un’eccezione, che gli ospedali capissero e si ricordassero delle potenzialità di ciò che hanno visto in questo periodo.
Forse così saremmo davvero capaci di reagire meglio, più velocemente, più efficacemente, semmai ci trovassimo di nuovo in una situazione simile.
Per saperne di più : Opendot Milano
Questa serie di rapporti è supportata da fondo di emergenza Covid-19 della fondazione Daniel and Nina Carasso.